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L'Efficacia della Pratica di "Visualizzazione": cosa dicono le Neuroscienze

12/02/2024

Docente: Lilli Amato

L'Efficacia della Pratica di "Visualizzazione": cosa dicono le Neuroscienze

Secondo le Neuroscienze: il cervello non distingue ciò che è reale da ciò che è immaginario.

Come si possono ricordare i colori e i sentimenti in assenza degli stimoli?

Che cosa accadrebbe se, anziché studiare i processi cerebrali che avvengono quando si sta attraversando la strada davanti all’autobus, si immaginasse semplicemente di fare questa esperienza oppure si ricordasse una reale esperienza passata?

Una volta compreso il linguaggio con cui la memoria è codificata all’interno del cervello e come un ricordo viene richiamato alla mente, non sembra impossibile spiegare come si possa ricordare il colore rosso in sua assenza, ovvero, attraverso l’attivazione dei neuroni sensibili al rosso.

Il ricordo dei sentimenti potrebbe similmente risvegliare l’attività in quei neuroni che risultano coinvolti nell’esperienza emotiva originaria.

Se si chiede a una persona di pensare a un gatto e poi, ad esempio, la si interroga sulla forma delle orecchie del gatto, si attivano determinate regioni della sua corteccia visiva primaria.

Se si chiede a qualcuno di compiere un’attività motoria, le regioni della sua corteccia motoria risultano attive. E, se le si chiede d’immaginare la stessa attività motoria, senza però svolgerla, si attivano le medesime regioni.

Se si chiede a una persona di pensare a un tragitto che le è familiare, schemi dinamici di attività elettrica, attraverso la corteccia cerebrale, tracciano il tragitto mentale con la svolta, ad esempio, prima a sinistra e poi a destra.

Quindi, l’attività mentale, in assenza di stimoli materiali può generare un’attività neurale simile, se non identica, a quella originata dagli stimoli materiali.

Vi è una crescente mole di prove derivanti dagli studi neuroscientifici che suggeriscono che questo è ciò che realmente accade.

Le neuroscienze, grazie a metodiche avanzate, permettono di mostrare il cervello in attività.

Si spera che ciò possa dimostrare l’efficacia della terapia immaginativa, comprendendo come lavora il cervello quando immagina.

La difficoltà sta proprio nel soggetto della ricerca: l’immaginario, ovvero, il mondo del possibile.

Gli studi evidenziano la complessità dei processi coinvolti nella generazione ed elaborazione delle immagini mentali.

Questi studi dimostrano, infatti, che tutto il cervello è coinvolto nell’attività immaginativa e che non si possono operare delle scissioni, perché nei processi dell’immaginario interagiscono: attenzione, memoria ed emozioni.

Emerge, inoltre, che la creatività è un sistema non solo complesso, ma anche dinamico e non lineare; infatti, improvvisamente si passa da uno stato di disequilibrio ad uno di auto-organizzazione, ma ad un livello diverso e con una diversa configurazione di elementi.

Un’altra difficoltà è rappresentata dal fatto che le configurazioni del sistema creativo sono uniche, com’è unica la storia dell’individuo; poiché derivano dall’esperienza passata che ha modellato le connessioni sinaptiche.

Solitamente, la ricerca neurofisiologica prescinde dall’aspetto individuale, in quanto ritenuto poco codificabile secondo parametri scientifici e, quindi, difficilmente dimostrabile.

Sono state individuate delle aree che operano nel momento in cui si svolge l’attività immaginativa.

Una prima area è il sistema limbico che, insieme all’ippocampo, svolge un ruolo importante nella memoria a lungo termine.

Vi è poi il talamo che svolge funzioni di “arricchimento”, grazie alle connessioni col sistema limbico e alla funzione associativa tra aree corticali diverse.

Sopra il tronco cerebrale vi è l’amigdala, che è una sorta di archivio della memoria ed è depositaria del significato degli eventi.

Inoltre, i neuroni specchio, legati alla capacità di empatizzare, nel corso della fase immaginativa, consentirebbero una circolarità comunicativa tra cliente e coach e/o counselor; permettendo così al coach e/o counselor di operare degli interventi verbali/immaginativi, che consentono di indirizzare l’evoluzione della vicenda immaginativa in un senso terapeuticamente utile.

Infine, un abbozzo di teoria sul processo di generazione delle immagini viene presentato per la prima volta da T. Hobbes.

Secondo la sua concezione, le immagini possono essere generate combinando percezioni conservate separatamente nella memoria dando, così, origine a un fenomeno creativo.

Quando richiamiamo un vecchio ricordo, ricostruiamo lo schema di attività neuronale che gli corrispondeva, ma in un cervello che nel frattempo è mutato e nel quale all’attività di ogni gruppo di neuroni possono essere associati nuovi significati.

Così il ricordo appare diverso. È un ricordo che l’io attuale ricostruisce e non il ricordo fissato tempo fa, anche se alcuni suoi aspetti (per lo più emotivi) possono restare perfettamente identici.

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